I numeri dell'azienda parlano
 
 
 

a cura di Mascia Mancini

I numeri dell'azienda parlano


Un imprenditore, per essere definito tale, deve aver sempre chiaro il suo obiettivo e quello della sua azienda: potrà così studiare la migliore strategia e raggiungerla attraverso un’azione precisa. Nessun imprenditore contemporaneo ha mai fronteggiato una fase come quella che stiamo vivendo. Il Covid-19 è sicuramente un virus che ha portato e porta con sé una serie di conseguenze anche gravi per la salute del genere umano, ma ha al suo interno una crisi finanziaria che spetta all’imprenditore gestire. Bisogna proteggere il business garantendo la salute dell’azienda, la sua continuità e la sua crescita nel periodo post Covid-19. Sicuramente un’abilità che l’imprenditore deve acquisire il più velocemente possibile perché misura la sua capacità di produrre ricchezza: è la lettura del bilancio. Il bilancio è composto da tre documenti e più precisamente da: conto economico, stato patrimoniale e rendiconto finanziario. Un bilancio contiene molti elementi e molte reazioni causa-effetto che vanno compresi in modo scientifico e che rendono prevedibili gli sviluppi dell’azienda. Qui entra in scena il controllo di gestione. Mi rendo conto che è difficile trovare imprenditori esperti di numeri. La cosa più antipatica per un piccolo-medio imprenditore è iniziare a parlare con un commercialista. Nel nostro panorama italiano gli imprenditori affidano i propri numeri ai commercialisti tributaristi, sperando che la tecnica di fare una dichiarazione fiscale possa essere simile alla tecnica della lettura di un bilancio per le finalità imprenditoriali.

Come già detto, la maggior parte dei commercialisti che seguono le piccole-medie imprese, quando si è fortunati, svolgono semplicemente gli adempimenti ordinari di contabilità. Il rapporto spesso si riduce in una telefonata per richiedere i documenti mancanti dell’anno prima, oppure a delle e-mail con richiesta di pagamento degli F24. La verità è che il commercialista guarda per il 90% al conto economico, per il 10% allo stato patrimoniale e per lo 0% al rendiconto finanziario (che spesso neanche viene predisposto col bilancio). Qui entriamo in gioco noi con il servizio MyConsult: affianchiamo il commercialista andando ad analizzare gli aspetti che a lui sfuggono e lavoriamo a stretto contatto con l’imprenditore in azienda per insegnargli ad ascoltare i suoi numeri costantemente. Uno degli indici più semplici da controllare per cominciare a porsi delle domande è: perché il mio utile di conto economico non si trasforma in un aumento di liquidità in banca? In termini tecnici EBITDA/FC, cioè utile al lordo di tasse e imposte, interessi e ammortamenti/ flusso di cassa (liquidità iniziale-liquidità finale). L’Ebitda deriva dal conto economico e l’FC dal rendiconto finanziario. Un altro indice da verificare è il ROI (Return On Investment) in cui si mette in relazione il reddito prodotto con gli investimenti. Quando questo indice peggiora significa che l’azienda sta crescendo e gli investimenti stanno aumentando, ma il rendimento cala. Il bilancio non è la soluzione di tutti i mali e forse non dà tutte le risposte, ma è di sicuro indispensabile per cominciare a farsi domande.

Non voglio farvi una lezione di matematica, tanto meno di ragioneria, ma attraverso queste parole mi vorrei soffermare sul fatto che, al di là degli adempimenti fiscali e del commercialista, un imprenditore deve avere sempre conoscenza e consapevolezza dei numeri della propria azienda. Per numeri intendo ogni singola statistica che si può ricavare in funzione dell’attività che viene svolta. Ad esempio, per un ristoratore è fondamentale avere sempre la conoscenza del suo food cost o di quale sia il numero di coperti che ha effettivamente a sua disposizione. Per un qualsiasi negoziante, qual è il suo scontrino medio o quante persone entrano al giorno all’interno del suo negozio. Per un agente immobiliare, sapere di quante notizie ha bisogno per trasformarle in appuntamento, poi in incarico e alla fine in vendita.

Ho scritto “conoscenza dei numeri” perché se li conosco e li so leggere posso permettermi anche di avere il controllo reale su ciò che faccio. È in questa banale riflessione che si nascondono tantissimi insuccessi e fallimenti di diverse attività. All’inizio non volevo crederci, ma spesso gli imprenditori ignorano l’importanza dei numeri e di quello che raccontano per poter gestire al meglio il proprio lavoro, avere successo e quindi più soldi e tempo libero. Quali sono gli imprenditori più a rischio e quando soprattutto è importante tenere a mente che i numeri dell’azienda parlano? Due sono gli scenari su cui voglio soffermarmi: l’azienda con ricavi che crescono costantemente e l’azienda con forte indebitamento nei confronti del sistema finanziario.

Spesso nel mio lavoro mi capita di ritrovarmi a risolvere casi di aziende apparentemente sane, che sembrano scoppiare di salute, ma che in realtà covano il rischio della crisi in maniera silente. L’imprenditore non si rende conto di ciò che sta accadendo fino a quando la situazione sfugge completamente di mano. Io li aiuto, affiancandoli a leggere i segnali di pericolo. Può capitare che l’azienda sia in forte crescita e svilupparsi sempre di più diventa una priorità. Prima di tutto c’è la necessità di accaparrarsi più clienti possibili e rispettare la puntualità nelle consegne dei prodotti o nell’erogazione dei servizi, dimostrando efficienza e precisione. La crescita dell’azienda diventa quasi una vera e propria droga di cui non si riesce a fare a meno.

In un quadro del genere, in cui i ricavi aumentano costantemente, chiunque non abbia familiarità con le dinamiche finanziarie non può in alcun modo immaginare di percorrere un terreno minato. Quali sono i segnali di crisi che sfuggono mentre l’azienda continua a crescere? Nonostante i facili entusiasmi che colpiscono molti imprenditori convinti che nulla possa colpirli in fase di ascesa positiva, nelle imprese si nascondono spesso dei segnali che diventano piuttosto evidenti se vengono applicati i giusti sistemi di controllo. Impostare un sistema di gestione finanziaria e monitorare i numeri e le performance aziendali è l’approccio ideale per non farsi fregare dall’eccitazione iniziale e mantenere i piedi per terra. D’altronde basta mettersi nei panni dell’imprenditore che sta vivendo una fase di crescita poderosa per comprenderne la mancanza di lucidità e capire la necessità che occorre cambiare qualcosa nella propria azienda anche se si assiste a un’impennata delle vendite.

Come fare per non incorrere nei rischi? Quali errori si rischia di commettere se non si hanno in mano le informazioni complete e come queste possano portare a una crisi irreversibile? Bisogna cogliere i segnali di pericolo e riconoscere le cause al fine di adottare le misure più idonee a porvi rimedio. Di seguito i segnali più comuni che possono manifestarsi.

1. Mancato controllo delle scadenze dei crediti. L’euforia generata dall’aumento delle vendite fa perdere di vista l’eventuale ritardo degli incassi. Ad alcuni clienti sono accordati termini di incasso immeritati. Altri potrebbero approfittare del lassismo dell’amministrazione per ritardare i pagamenti. Questo porta a un aumento di fatturato con conseguente scarsità di liquidità nelle casse per far fronte alle spese.

2. Gestione squilibrata delle scorte. Scarseggiano i prodotti a più alta rotazione e ruotano più lentamente quelli a minore rotazione. L’azienda comincia a covare il cancro dell’incremento delle giacenze con conseguente spreco di risorse.

3. Minore controllo della qualità. Aumentano gli errori dei fornitori che devono soddisfare più velocemente le domande e diminuiscono i controlli della merce in ingresso. Gli aumenti di spedizione per la fretta di consegnare aumentano con conseguente aumento di resi e note credito. La qualità si abbassa, i clienti sono meno soddisfatti e quelli conquistati scappano con altrettanta velocità e in maniera irreversibile.

4. Ritardi nei pagamenti ai fornitori. Come detto sopra, i primi segnali passano inosservati e si arriva addirittura a ricevere solleciti dai fornitori. Si cominciano a pagare i più insistenti e lasciare indietro i più pazienti. Non sempre l’insistenza del fornitore è il metro migliore per scegliere la priorità di un pagamento: serve una strategia!

5. Mancati controlli. Le dimenticanze nell’assolvere gli adempimenti sono sinonimo di un abbassamento del limite dei controlli interni. I ritardi possono essere di piccola entità e si possono correggere, ma attenzione se cominciano a esserci ritardi nei pagamenti fiscali e nei contributi con conseguente irregolarità del DURC.

6. Occhio ai costi. Fare maggiori controlli non significa aumentare i costi in maniera indiscriminata. Bisogna sempre cercare di semplificare i processi (finanziari, di produzione, di approvvigionamento e vendita), ottimizzandoli. Quindi l’apparente successo che l’azienda sta riscuotendo senza disciplina, analisi e controlli può diventare una grossa trappola. La storia non è inusuale.

7. Formazione del personale e scelta delle giuste competenze. Nell’azienda piccola tutti sono abituati a fare tutto, ma nella fase di crescita ogni ruolo ha la sua competenza che deve crescere all’incrementare del fatturato. È probabile che le abilità che hanno portato l’azienda al primo stadio di sviluppo siano quelle di cui ha bisogno per prosperare al livello successivo. Investire nelle competenze e nelle risorse consentirà una crescita disciplinata e redditizia. Giusti strumenti di valutazione e di analisi consentono di identificare i giusti modelli di redditività e marginalità.

8. Gestione di cassa e di capitale circolante. Monitoraggio attento dei crediti e dei clienti per aumentare la marginalità, gestione chirurgica dell’inventario, sviluppo di solide relazioni coi fornitori per l’ottenimento di termini di pagamento adeguati, miglioramento del ciclo monetario e una previsione di cassa costantemente aggiornata servono ad anticipare le necessità di cassa e a scovare i segnali di pericolo. I numeri dell’azienda…parlano! Bisogna essere coraggiosi e avere un piano per far crescere i ricavi e/o ridurre i costi. Se un’azienda ha bisogno di sostegno di un istituto di credito per far fronte a temporanee carenze di liquidità, questo livello di accuratezza nelle previsioni può fare molto per convincere la banca che verrà rimborsata.

9. Conoscere i propri conti (anche quelli più piccoli) e la liquidità in entrata e in uscita. Nel mio lavoro mi capita anche di incontrare aziende in cui i conti non tornano, in cui le finanze sembra abbiano in corso una emorragia di liquidità senza che nessuno abbia mai riferito nulla e in cui si sente già molto vicina una situazione di crisi aziendale. In questi casi capita spesso che prima di aver conosciuto Commerfidi l’imprenditore abbia spaziato dalla ricerca forsennata di soluzioni improvvisate, cercando di rimanere lucido attraverso una strategia pseudo ragionata fino al cieco tentativo di procedere a tentoni e tentativi di indebitamento in cui precipita cercando su internet, affidandosi a consigli di altri esperti di dubbia affidabilità e arrivando a valutare anche di fare causa al sistema bancario. Esperimenti improvvisati e superficiali che traslato sull’azienda in crisi finanziaria potrebbe condurre solo a una morte certa dell’impresa. Senza gli strumenti giusti per evitare la crisi aziendale si rischia di commettere errori insanabili. Va analizzata la liquidità in entrata e in uscita dove quest’ultima di sicuro supera quella in entrata, senza tener d’occhio l’andamento finanziario e limitandosi ai soli dati storici. Per avere idea di come il sistema bancario vede l’azienda e ne monitora il comportamento occorre almeno interrogare la Centrale Rischi. Non è sufficiente un foglio excel compilato dall’amministrazione con l’elenco dei prestiti.

10. Analizzare anche dati esterni all’azienda. Come è conosciuta dai creditori e che opinione ne hanno, consente all’impresa di verificare in che maniera possono essere limitate, interrotte o evitate azioni di recupero crediti nei confronti dell’azienda. Prima di sentirsi schiacciati da debiti e scadenze servono dati certi e conteggi certosini. L’azienda in questo caso ricopre, e lo deve comprendere bene, una posizione di debolezza per cui ricorrere alla forza non è quasi mai una buona idea. Giocare d’anticipo consente invece di riuscire a negoziare. Occorre inoltre valutare una priorità di recupero liquidità che consenta di riuscire a pagare i creditori. Quindi partire da una buona analisi dei dati finanziari, analizzare i dati patrimoniali e le eventuali pregiudizievoli, procurarsi i dati di Centrale Rischi e Crif per conoscere le esposizioni bancarie, bilanci depositati, analisi dei fornitori e verificare che i dati dell’indebitamento che loro hanno corrisponde a quello presente sui registri dell’azienda, informazioni fiscali, liquidità recuperabile. Raccolte le informazioni, esse vanno organizzate in un quadro organico che dia il reale stato dei fatti e poi si procede a costruire la strategia di risanamento. Sono tante informazioni? Certo. È quello che serve per cercare di evitare la crisi aziendale.

Come uscire dalla crisi peggiore dell’attività ? La liquidità è sicuramente un fattore che determina lo stato di salute e la solidità di un’azienda. Per questo motivo gestirla può garantire la sopravvivenza dell’azienda. Questo vale per tutte le aziende, in particolar modo per le PMI che solitamente non dispongono di cassa infinita e possono essere più facilmente in balìa delle banche. Quando la generazione di liquidità da obiettivo diventa una necessità, è proprio allora che scatta lo stato di crisi.

Costruire e avere a disposizione efficaci piani di gestione delle crisi, aiuta l’organizzazione a imparare cosa funziona e cosa no in modo che possa individuare e affrontare le minacce future in modo rapido ed efficace.

Affrontare positivamente una crisi è come andare in palestra. La prima volta che si sollevano dei pesi la risposta saranno muscoli doloranti, ma nei giorni successivi, con l’allenamento, si riusciranno a sollevare più pesi. Per l’azienda superare una crisi seguendo un piano strutturato permetterà di riuscire a fronteggiare ancora meglio qualunque difficoltà si presenti davanti.

Di seguito i passi successivi per far ripartire l’azienda.

1. Redigere un business plan che racconti all’azienda e soprattutto al mercato (fornitori, banche, finanziatori) i piani di crescita e sviluppo futuri che parli di obiettivi, strategie e numeri attesi.

2. Calcolare nuovamente il proprio break even point (o punto di pareggio) che spiega la relazione tra costi fissi, costi variabili e fatturato e identifica il punto esatto in cui l’azienda si trova o troverà in equilibrio consente di conoscere il valore del fatturato minimo e di procedere a strategie di costo. Senza questa informazione ci si affida al caso o alle sensazioni, o peggio ancora a cosa fanno gli altri, e l’imprenditore questo non può mai permetterselo.

3. Nuove linee di credito vanno aperte con cautela calcolando attentamente quanto richiedere di finanziamento sulla base delle necessità effettive derivanti dal piano e dalle previsioni di entrata e uscita. All’inizio l’esigenza sarà di consolidare il debito che consente di allungare la scadenza o di ridurre la rata da pagare. La concessione di credito da parte delle banche non è automatica, ma soggetta a valutazione di merito da parte degli Istituti di credito, anche se le garanzie rilasciate da Stato, Confidi e fidejussori coprono il 100% degli importi. Questo errore di valutazione molte volte è stato e continua a essere fatto in questo particolare momento storico, in cui lo Stato ha parlato di “potenza di fuoco” di denari concedibili. Gli aiuti dovrebbero essere sempre considerati temporanei e non dovrebbero mai essere inquadrati in una strategia d’impresa a medio lungo termine. La maggior parte degli imprenditori sbaglia completamente l’approccio al sistema bancario in caso di crisi aziendale: si aspettano che le banche continuino a finanziare l’azienda in crisi nonostante le segnalazioni negative perché in qualche modo credono sia dovere della banca aiutarli. Purtroppo non è così: la banca è un’azienda esattamente come quella del cliente e non una ONG caritatevole. È un fornitore, anche molto informato sullo stato di salute dell’azienda cliente, e sarà anche il primo probabilmente a tirarsi fuori dai giochi. Come un qualunque fornitore quindi vorrà riavere i suoi soldi, per cui con la banca occorre procedere a negoziare, trattare e comunicare..

La banca non vuole il fallimento dell’azienda cliente, né tantomeno ha piacere di avviare lunghe e tormentare azioni legali di recupero: accetta volentieri piani negoziali che però debbano essere supportati da valide proposte di ripartenza. Se l’azienda trova il modo di rilanciarsi, tutti i soggetti coinvolti ne saranno contenti. Quindi bisogna avere strategia e attenzione nel portare avanti le proprie mosse. Quella che a volte viene prospettata da consiglieri di dubbia fama come la scelta migliore è mollare tutto, arrendersi, tirare i remi in barca dichiarando fallimento o eccessivo indebitamento, o peggio ancora chiudere e riaprire sotto un altro nome sperando che nessuno se ne accorga equivale a scaricare il peso del debito dell’azienda su fornitori, dipendenti, banche e perfino lo Stato. Noi di Commerfidi rispondiamo sempre all’imprenditore in difficoltà indeciso sulla buona riuscita del nostro piano di risanamento. C’è una grande soddisfazione personale nell’aver raschiato il fondo del barile ed essere tornati a galla più forti di prima, dormendo sonni tranquilli consapevole di aver fatto tutto il possibile e aver adottato la giusta strategia..

Noi diamo una possibilità a quegli imprenditori che vogliono davvero costruire un futuro per la propria azienda anche nel momento più buio che l’orizzonte ha preparato per loro.