A cura del Dott. Gianluigi Marchionni
L'evoluzione della nozione di "sicurezza alimentare": dalla normativa italiana a quella comunitaria
Fin dall’antichità si è sentita l’esigenza di emanare norme che disciplinassero le filiere agroalimentari dalla produzione primaria alla commercializzazione dei prodotti finiti. Già nell’antica Babilonia venivano poste le prime basi scritte per tutelare i consumatori dalle frodi alimentari e quindi per garantire loro la qualità dei prodotti, sottolineando in tal senso la responsabilità del produttore e del venditore.
Le sanzioni erano molto severe e prevedevano, in certi casi, la condanna a morte come per chi era colto ad annacquare la birra.
Fra i primi anni ’60 e la metà degli anni ’80, però, l’aspetto igienico non era avvertito ancora come una necessità primaria, prevaleva infatti l’urgenza della quantità sulla qualità, intesa come salubrità, e l’attività di tutela della salute dei cittadini era affidata ai singoli stati membri che si dedicavano soprattutto a stabilire una normativa relativa agli aspetti tecnici delle produzioni alimentari con le cosiddette “leggi ricetta” che spesso si dimostrarono essere un ostacolo, piuttosto che una facilitazione, alla libera circolazione delle derrate alimentari per la diversità delle disposizioni nazionali in materia.
Nel nostro paese i concetti di autorizzazione e di controllo delle produzioni alimentari trovarono una prima organica sistemazione giuridica con la legge n. 283 del 30 aprile 1962 che fu di fondamentale importanza per la tutela della sicurezza degli alimenti, così come il suo regolamento di attuazione emanato con ben diciotto anni di ritardo ovvero il DPR 327/80. Questo si presentava sì come un testo normativo alquanto complesso di carattere amministrativo, con importanti inserti di carattere penale, come tutta la normativa dell’epoca, destinato a regolare l’intero ciclo merceologico del prodotto alimentare, dalla preparazione alla distribuzione. Fino a oggi è rimasta, se pur modificata in parte dalla legge 441/63, uno dei punti di riferimento, non solo storico, per la legislazione alimentare di carattere nazionale.
Questa legge modificava e disciplinava l’igiene della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.
Lo sviluppo della produzione industriale, l’inarrestabile urbanizzazione, nonché la crescita del potere d’acquisto di ampi strati della popolazione furono fattori determinanti una sempre maggiore complessità nella produzione e nel commercio degli alimenti e al contempo elevate massificazioni e standardizzazioni nei consumi.
Questo sviluppo economico-sociale, che interessò l’intero territorio europeo, portò due conseguenze fondamentali: la prima dovuta al fatto che l’eventuale nocività di una partita di alimenti era oramai in grado di produrre effetti diretti su un numero di consumatori sempre più ampio; la seconda dovuta alla crescente carenza di informazioni possedute dal consumatore, all’interno di un mercato che oramai superava i confini nazionali, riguardo alla sicurezza, alle tecniche di produzione e al luogo di provenienza del prodotto alimentare.
A quanto detto si sommavano poi i maggiori rischi derivanti dalle nuove tecniche di lavorazione dei prodotti, dal crescente utilizzo di sostanze chimiche sia nella produzione primaria, come per esempio gli antiparassitari, che nella successiva fase della trasformazione, basti pensare agli additivi alimentari.
Negli anni Sessanta, infatti, l’ampio uso di queste sostanze iniziò a creare qualche dubbio su una eventuale scarsa sicurezza e si ritenne necessario un controllo legislativo. Gli additivi vennero menzionati per la prima volta nel 1962 proprio nella legge n. 283 dove si stabilì che il loro uso da parte delle industrie doveva essere preventivamente approvato dal Ministero della Salute.
Dal presentarsi di tali novità nel settore produttivo alimentare maturarono le premure del legislatore, il cui primo obiettivo in materia si identificò esclusivamente con l’assicurare la salubrità e l’igiene dei prodotti destinati all’alimentazione umana.
Per mezzo secolo la legge ebbe quindi un ruolo fondamentale nella tutela dell’igiene dei prodotti alimentari, poi perse parte della sua importanza a causa di interventi legislativi abrogativi e sostitutivi: dichiarazioni della Corte Costituzionale relative alla legittimità delle singole parti, introduzione di norme regionali, interventi di depenalizzazione di cui alla legge n.689/1981 e al D.lgs. n.507/1999, entrata in vigore della normativa comunitaria prima di carattere verticale (si ricordi il 93/43/CEE, recepita col D.lgs. n.155/97) e poi orizzontale con il Pacchetto Igiene del 2004. Si è giunti all'emanazione di questo “pacchetto igiene” anche a seguito del verificarsi di tanti eventi negativi come il vino al metanolo, Chernobyl, la mucca pazza, tutto questo per tutelare il consumatore.
Ecco che entra in gioco la sicurezza alimentare che rappresenta un prerequisito per somministrare alimenti salubri e graditi ai consumatori di ogni età, con particolare riguardo ai “consumatori fragili” quali bambini, pazienti ospedalieri, anziani.
A partire dal 2000, il tema della sicurezza alimentare, inasprito anche da nuove e complesse emergenze sanitarie sopra menzionate, ha sollecitato la UE proprio nella messa a punto del Regolamento CE 178/02 e dei nuovi Regolamenti CE 2004 definiti “Pacchetto Igiene”.
Entrano in gioco in questa atmosfera gli OSA (Operatori del Settore Alimentare), secondo i propri ruoli di responsabilità nella filiera alimentare (produzione, trasformazione, distribuzione, vendita, somministrazione), che vengono chiamati a possedere sensibilità, conoscenze e competenze approfondite, al fine di applicare procedure efficaci per tutelare la salute dei consumatori. Ecco l'importanza della formazione.
La formazione professionale è infatti da qualche tempo ritenuta uno dei fattori prioritari e fondamentali per una ristorazione evoluta, di classe e soddisfacente per gli avventori delle nostre tavole. Se tale elementare concetto era vero per ieri, lo è ancora di più oggi con un mondo che muta ed evolve alla massima velocità.
La necessità di un’indispensabile formazione professionale specifica e di un aggiornamento continuo al passo con i tempi è un problema sentito da tutti gli operatori, poiché è lo specifico settore che lo richiede, ma dove è ampio il consenso di principio è più difficile il tradurlo in pratica. Le esigenze dei vari attori sono diverse: da un lato c’è chi è giovane e deve essere inserito nel mondo del lavoro e dall’altro chi è rimasto indietro o, peggio ancora, confinato in uno spazio professionale poco in linea con quanto il mercato richiede. Inoltre se da una parte il mondo del lavoro richiede lavoratori competenti, addestrati e responsabili, dall’altro, coloro che sono in attesa di occupazione, purtroppo, non sono adeguatamente preparati per ciò che il mercato offre.
Stimoli e indicazioni sulle attività da svolgere ci vengono rapportate anche dall’estero, in quanto ormai non ci si confronta più con la sola realtà circoscritta entro i confini nazionali, bensì con il resto del mondo.
Il fenomeno tipico di questi ultimi decenni definito globalizzazione, comporta orizzonti sempre più vasti che favoriscono la possibilità di entrare in contatto con tutto il pianeta, anche attraverso collaborazioni internazionali: di questo si deve tener conto nel programmare una moderna tematica didattica.
Inoltre, si deve considerare che l’Europa si sta pian piano trasformando in una società multirazziale, in quanto culture diverse si confrontano, si mischiano e a loro volta provano a integrarsi nella società presente. Importantissimo e determinante è assumere atteggiamenti di rispetto e interesse nei confronti delle civiltà diverse dalla nostra. Ne consegue che anche la formazione professionale dovrà essere adeguatamente competitiva e migliorarsi continuamente attraverso un confronto reale, continuo e porsi attivamente in discussione, controllare la validità degli obiettivi raggiunti e inseguire quelli che si sono prefissi per non vanificare inutilmente le risorse.
Non occorre andare a cercare tanto lontano gli essenziali stimoli, in quanto sono largamente presenti nel nostro territorio. Ciò vale per l’Italia più che altrove, poiché la complessità geografica del paese e le differenze culturali rappresentano una grandissima ricchezza intrinseca anche se non sempre semplice da recepire per la storica diversità. Indispensabile sarebbe instaurare rapporti di collaborazione con il mondo produttivo professionale attraverso una migliore corrispondenza tra le risorse umane richieste dal mercato del lavoro e le risorse disponibili. Imparare a conoscere il territorio è il primo fondamentale passo onde poter capire al meglio come rapportarsi con esso e cosa poter ottenere senza interferire col suo equilibrio.
Il concetto stesso della ristorazione è oggi profondamente mutato. Dall’antica esigenza di rifocillare il viandante al costume diffuso di mangiare fuori casa per gustare piatti che non sempre si preparano nell’ambito familiare, per non affaticarsi ai fornelli, per il piacere di un attimo conviviale e al bisogno di alimentarsi per sfamarsi, all’esigenza moderna di nutrirsi con limitate quantità ma rigorosamente di alta qualità e questa qualità non può che venire solo da una costante formazione.